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Pazienti in stato vegetativo rispondono agli stimoli

Posted by ikzus su 5 febbraio 2010


Hanno dato voce a una pianta. Lo chiamano così, stato vegetativo, per descrivere un essere umano fuori dal coma, ma chiuso nel silenzio dell’incoscienza totale e quindi dell’assoluta incomunicabilità. Gli hanno permesso di “parlare” scandagliando il cervello con la forma più avanzata di risonanza magnetica funzionale, hanno esplorato il mistero della mente fino a ottenere un “sì” e un “no”. A pronunciarlo è stato un uomo di 22 anni, da cinque anni imprigionato nella condizione di vegetale, inconsapevole, apparentemente, del fluire dell’esistenza. Una vita spenta che i ricercatori di Cambridge, in Inghilterra, hanno illuminato scoprendo aree del cervello attive.
«Un successo completo, al di là di ogni aspettativa»: Adrian Owen, coautore dello studio dai banchi del Centro di Neuroscienze dell’Università di Cambridge, tradisce una forte emozione. «È un paziente che cinque anni fa, a Liegi, ha avuto un incidente stradale e che si credeva fosse in stato vegetativo. Lo abbiamo sottoposto in collaborazione con i colleghi belgi agli stessi test a cui abbiamo sottoposto altre persone in salute e abbiamo ottenuto risultati analoghi». La scoperta è finita sul New England Journal of Medicine.
Stracciare il velo sul lungo sonno, fino a comunicare con i pensieri di un uomo che si credeva incosciente, è opera dell’incredibile intreccio fra scienza medica e tecnologia. La risonanza magnetica funzionale consente, infatti, di individuare in presa diretta le aree del cervello che si attivano. I ricercatori hanno quindi messo a punto un test che suggerisce al paziente di immaginare di giocare a tennis oppure, in alternativa, di concentrarsi sulla sua casa. Due attività che coinvolgono differenti aree della corteccia cerebrale e che gli scienziati hanno fatto coincidere, comunicandolo al paziente, con “sì” e “no”. Così alla domanda: “Tuo padre si chiama Alexander?”, l’uomo ha immaginato il tennis, rispondendo dunque in modo affermativo. Gli sono stati posti sei interrogativi e a cinque ha risposto con precisione assoluta, al sesto non ha reagito. Altri quattro pazienti sottoposti a test analoghi hanno confermato di avere attività cerebrale, ma nessuno ha ottenuto il risultato del numero 23, come il lessico burocratico della ricerca anglo-belga ha battezzato il giovane di Liegi. «Il fatto straordinario – precisa Owen – è che abbia interagito. La più ovvia domanda che gli potrà essere fatta è se sente dolore, permettendoci di somministrargli dei sedativi».
Un’altra altrettanta ovvia domanda è se voglia continuare a vivere o meno, spalancando un baratro di interrogativi etici. Owen ha dei dubbi. «Gli ostacoli morali e legali sono enormi. Bisognerebbe prima di tutto stabilire se ha la capacità intellettuale di elaborare un interrogativo del genere».
Per il momento il sistema messo a punto a Cambridge consentirà di ridurre ulteriormente il numero di diagnosi errate che nel caso di pazienti considerati in stato vegetativo può essere elevatissimo. Secondo Helen Gill del Royal hospital for neurodisability di Londra fino al 43% dei casi. Poi si tratterà di rendere routine un test oggi costoso e poco accessibile per arrivare come immagina Owen a una situazione per la quale «i pazienti in queste condizioni possano comunicare non in casi eccezionali ma in modo regolare». Ma prima di tutto l’incredibile caso del giovane belga dovrà essere ripetuto su altri pazienti. A Cambridge e a Liegi il lavoro continua.

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