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La cartina di tornasole

Posted by ikzus su 23 aprile 2009


La conferenza ONU sul razzismo, nota come Durban II, avrebbe dovuto concludersi domani; invece è già finita due giorni fa, per acclamazione, come nelle migliori tradizioni totalitarie.

Il testo così approvato è una vera schifezza che, se non facesse paura, farebbere ridere: gli ebrei, vittime del razzismo per antonomasia, sono gli unici accusati. Il grande protagonista dello show infame, il presidente iraniano che da anni promette l’annientamento di Israele, al suo ritorno in patria è stato osannato come un eroe nazionale.

Allora, ci stracciamo le vesti? Assolutamente no: anzi, si tratta di un’occasione preziosa, per chi non vuol chiudere gli occhi di fronte alla triste realtà. Diciamo che è una specie di cartina di tornasole, che inequivocabilmente ci dimostra alcune verità scomode:

  • innanzitutto l’ideologia multiculturalista – faro e bandiera dell’Europa amorale e relativista – ormai rasenta la follia: le vittime diventano gli accusati, i carnefici passano per modelli ideali, ciò che si dovrebbe combattere viene esaltato;
  • le grandi istituzioni internazionali – ONU e UE in testa, ma lo stesso si può dire per le tanto decantatate ONG, da Amnesty International in giù – non hanno nemmeno più il coraggio di chiamare le cose col proprio nome, figuriamoci di fare qualcosa;
  • la politica di Obama del dialogo a tutti i costi – che poi è quella percorsa da anni dall’Europa – ad oggi è un fallimento totale: anche qui, riuscisse non dico a fermare la fabbricazione dell’atomica iraniana, ma almeno a farli star zitti …

Ancora una volta, la conclusione è una sola: l’Occidente rigettando i propri valori fondamentali – cioè le proprie radici cristiane -, ha rinunciato a proporsi come modello di civiltà al resto al mondo; con amarezza e disillusione, ha da tempo imboccato il viale del tramonto. E nel deserto che lascia alle sue spalle, germinano le peggiori erbe velenose.

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Corriere

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3 Risposte to “La cartina di tornasole”

  1. gianni said

    ma sei veramente convinto? scusami ma condivido ben poco su questa tua posizione..
    un caro saluto
    Gianni

  2. Però io non sarei così assoluto. Obama potrà sempre cambiare linea e, comunque, non è sempre facile, o utile, arroccarsi. Anche trarre dalle scritture delle considerazioni su Islam ed ebraismo mi sembra avventato. Certamente Durban è stata una schifezza, ma non credo lo esaltino in molti. Peccato che qualcuno si accodi ancora a tutto questo.
    Ciao
    S&P

  3. michele ognissanti said

    Egregi,
    la realtà è più complesa di ciò che pensate. Beati voi chesiet rimsti ad una visione manichea stile anni’70.
    leggete ciò che segue.

    L’ARCIVESCOVO TEODOSIO: IL PAPA NON E’ IL BENVENUTO A GERUSALEMME

    Di Adamo Israel Shamir, 9 Marzo 2009[1]

    “Il Papa non è il benvenuto in Terra Santa, nelle attuali circostanze”, ha detto l’Arcivescovo Teodosio di Sebaste, il prelato cristiano di etnia palestinese di più alto rango a Gerusalemme, dopo che in Israele è stato annunciato che il capo della Chiesa di Roma inizierà in Maggio il suo pellegrinaggio alla Città Santa con un atto di omaggio al Monumento Ebraico dell’Olocausto “Yad Vashem”.
    “Non siamo contro la visita del Papa allo Yad Vashem, ma prima di esprimere solidarietà agli ebrei, dovrebbe esprimere solidarietà ai cristiani della Palestina. Abbiamo anche noi le nostre tragiche memorie; il nostro Yad Vashem sta a Gaza”, ha detto l’Arcivescovo, e ha quindi aggiunto: “Che il Papa inizi la sua visita a Gaza, prima di ogni altro luogo”.
    Alto e sulla quarantina, dagli occhi blu, di presenza autorevole, l’Arcivescovo – nato in Galilea – è un cittadino di Israele, un critico dichiarato degli eccessi ebraici e un sostenitore manifesto dell’idea di un Unico Stato per una piena uguaglianza di ebrei, cristiani, musulmani e minoranze varie in una Terra Santa integra e indivisa. L’Arcivescovo Teodosio Atallah Hanna è un uomo che sa quello che vuole: ha rifiutato di incontrare il Presidente Bush e ha difeso Papa Benedetto quando venne attaccato per quello che venne considerato un discorso anti-musulmano. Adesso esprime i sentimenti di molti cristiani palestinesi, di questa che è la più vecchia comunità cristiana del mondo. Mentre la Chiesa di Roma venne costituita da San Pietro, apostolo di Cristo, la Chiesa di Gerusalemme venne costituita da Cristo stesso. In molti villaggi e città della Terra Santa le memorie della presenza del Salvatore ancora perdurano. La maggioranza dei cristiani di Gerusalemme appartiene alla confessione ortodossa dell’Arcivescovo, mentre la cattolica è una minoranza.
    Riguardo la visita papale, i cattolici e gli ortodossi la pensano allo stesso modo. Prima della guerra di Gaza, padre Manuel Musallam, capo della Chiesa Cattolica Romana di Gaza, aveva detto che Gaza ha il diritto di non morire, e che se muore morirà sul campo di battaglia. I credenti cattolici, preti e monaci della Terra Santa, hanno inviato al Papa una lettera segreta chiedendogli di rimandare la visita a tempi futuri. Il Vaticano ha letto la lettera ma ha deciso di non curarsene. Ora Israele dipingerà certamente questa visita come una sua vittoria.
    “Se il Papa vuole venire in Terra Santa, dovrebbe iniziare la visita dalla locale chiesa cattolica di Gaza”, ha detto l’Arcivescovo Teodosio Atallah Hanna. “A questa chiesa sono state negate le visite di preti e vescovi, e i cristiani di Gaza non possono recarsi nelle chiese di Gerusalemme e di Betlemme. Innanzitutto, il Papa dovrebbe incontrare i cristiani palestinesi, che portano la luce di Cristo nelle tenebre dell’occupazione israeliana. Altrimenti, non è una visita per noi, ma una visita per Israele, una tappa nell’agenda del Papa concordata con le organizzazioni ebraiche. Chiediamo al Papa di parlare a nome del popolo della Palestina, perché i cristiani palestinesi sono parte integrante della Palestina. I cristiani palestinesi soffrono insieme ai loro fratelli musulmani. Che il Papa sostenga la nostra causa”, ha detto.
    Molti cristiani palestinesi pensano che il Vaticano sia diventato un giocattolo a disposizione degli intrighi ebraici. Perché il Vaticano si spende così tanto per cercare di blandire e di compiacere gli ebrei? La Chiesa di Roma non è ancora un’entità indipendente? Perché la Sede di S. Pietro dà retta ai veti ebraici anche riguardo agli affari ecclesiastici?
    La visita del Papa al Monumento dell’Olocausto è preoccupante.
    Il Museo adiacente al Monumento contiene certe grossolane calunnie sul defunto Papa Pio XII; e gli ebrei hanno rifiutato di rimuoverle.
    Ancora peggio, l’Olocausto viene utilizzato per giustificare lo sterminio di Gaza; visitare per prima cosa lo Yad Vashem manda un messaggio sbagliato, di accettazione della superiorità ebraica sulla Cristianità.
    Inoltre, il Monumento dell’Olocausto è un simbolo religioso, l’idolo di un nuovo culto, pagano e ateo. Il suo direttore, Judah Bauer, ha negato apertamente Dio e la Creazione, mentre il precedente direttore [Yitzhak Arad] è considerato un criminale di guerra ed è stata chiesta la sua estradizione [dall’Ucraina].
    Tom Segev, un eminente scrittore israeliano, ha detto giustamente che l’Olocausto è diventato “un oggetto di adorazione”. Abraham Foxman, capo dell’Anti-Defamation League, ha dichiarato: “L’Olocausto è un attentato quasi riuscito alla vita del Popolo Eletto di Dio e, quindi, a Dio stesso”.
    Noi conosciamo un attentato quasi riuscito alla vita del Figlio di Dio, e perciò a Dio stesso, che ebbe luogo a Gerusalemme, sul Calvario. Lo Yad Vashem è un rivale, un luogo di idolatria. Abramo si rifiutò di rendere omaggio agli idoli – perché il Papa non può seguire il suo esempio?
    L’imminente visita del Papa è stata ottenuta con uno strattagemma: il Vescovo tradizionalista Mons. Williamson è stato riammesso alla comunione con la Chiesa nello stesso momento in cui la sua intervista sull’Olocausto ebraico veniva resa nota. Lo scandalo è stato enorme. Se Williamson avesse bestemmiato Cristo e la Chiesa sarebbe stato applaudito per la sua presunta apertura mentale; così come stanno le cose, il Papa è stato costretto a chiedere perdono ai suoi “fratelli maggiori, gli ebrei”, e persino a partire per questo viaggio in stile Canossa, con i suoi appuntamenti prefissati con gli israelaiani.
    In Palestina, il Papa e i cattolici possono imparare una cosa o due dalla Chiesa di Gerusalemme. Nonostante la sua posizione minoritaria all’interno dello Stato ebraico, la Chiesa Ortodossa è ancora libera e non sovvertita. La sua teologia è luminosamente, implacabilmente trionfalista; noi crediamo in Cristo e nella vittoria dell’Ortodossia. La nostra chiesa è universale e cattolica, perché noi di Gerusalemme e di Mosca, di Antiochia e di Costantinopoli siamo uniti da un’unica comunione, sebbene non abbiamo un unico pastore. Non abbiamo fratelli maggiori. Non abbiamo relazioni speciali con gli ebrei – a meno che essi non vogliano unirsi a noi. Rigettiamo le eresie, e non esitiamo ad anatemizzare gli eretici, inclusi i papi di Roma quando sono andati troppo oltre nel sottomettersi alle potenze mondane. La nostra Chiesa non cerca pubbliche relazioni migliori, non cambia le sue regole in un vano tentativo di attrarre più fedeli. Ella venera le icone, ma non si piega agli idoli.

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